12 Ott Fortuna che ho un problema da risolvere
Alzi la mano chi non ha mai avuto un problema da risolvere?
Se la vostra mano non si è alzata, scopriamo insieme perché, avere problemi, è parte del nostro crescere, poiché se sappiamo come “domare la bestia”, non dovremo più temerla.
Innanzitutto facciamoci aiutare dal dizionario per il significato della parola problema:
- Quesito di cui è richiesta la soluzione;
- Difficoltà che richiede un adattamento o un comportamento particolare, o di cui si impone il superamento.
Primo passo: trasformare i problemi in domande chiare.
Il punto uno della definizione ci dice che dietro al problema c’è una domanda.
Avete mai provato a formulare i vostri problemi con domande chiare?
Facciamo un esempio: “Ho mal di schiena.”
Questo per me è un problema, perché mi impedisce di andare a camminare. Se non cammino, la mia mente non riposa e il mio lavoro mi diviene sempre più pesante.
Già, ho un bel problema.
Non vedo però nessuna domanda.
Ora proviamo così: “Come posso guarire dal mal di schiena?”
Formulare la domanda predispone il nostro sistema alla ricerca di soluzioni. Crea un’apertura che ci spinge a tentare una risposta. Ci chiede di agire in qualche modo.
Secondo passo: vedere i problemi come opportunità.
Soffermiamoci ora sul secondo punto della definizione che ci “impone” di superare qualcosa.
Nonostante la mia allergia storica alle imposizioni e il mio indefesso tifo per il libero arbitrio, devo arrendermi a constatare che i nostri problemi si stagliano davanti a noi “imponendoci” il loro superamento.
Non solo. Ci richiedono “un adattamento o un comportamento particolare”.
I nostri problemi ci richiedono di CAMBIARE. (Per coloro che hanno voglia di lettura rimando all’articolo di settembre sul cambiamento: https://www.ilgiocodelrisveglio.it/il-cambiamento-lo-smarrimento-prima-della-svolta/).
Lasciamo ora il dizionario e navighiamo a vista.
I prossimi passi indicano gli ostacoli alla risoluzione del problema.
Primo ostacolo: se non voglio cambiare, niente cambierà.
- La negazione del problema.
Ricordate il mio mal di schiena? Prima di pormi la domanda per poi agire, sono stata un anno e mezzo nel dolore.
La mia soglia di sopportazione non ha aiutato a migliorare la situazione. Ho fatto lo struzzo e il problema è peggiorato.
- Sotto o sovra valutazione del problema.
La prima modalità genera pensieri del tipo: “non è grave, i problemi li hanno tutti”.
La seconda fa più o meno così: “non ci riuscirò mai, perché provare? Ormai, così è”.
- Lamentela: la sofferenza è più tollerabile del cambiamento.
Questa strategia è quasi una malattia. Possiamo però trarre due considerazioni: la prima parte dal presupposto che la lamentela è una dispersione di energia. Quindi se sto disperdendo energia vuol dire che l’energia è a mia disposizione; la seconda è che la scelta di come investire la mia energia dipende da me.
Eureka[1]: ho energia e posso spenderla come voglio.
Secondo ostacolo: i nostri pensieri determinano i nostri comportamenti.
- Rigidità mentale: così come in natura, così anche la nostra mente non tollera il vuoto.
Preferiamo riempire questo senso di vuoto con preconcetti e credenze limitanti piuttosto che confrontarci con l’angoscia dell’ignoto. Questo meccanismo ci impedisce di allargare le prospettive e di cogliere le risposte, che magari sono lì, davanti al nostro naso.
I pensieri conosciuti e obsoleti sono per noi una zona confort. Uscirne richiede la capacità di tollerare il caos, la confusione e l’incertezza.
- Troppa analisi: la mente cerca sicurezza.
Rimaniamo impigliati in mille ragionamenti sui pro e sui contro, in ricerche infinite di informazioni e non passiamo mai all’azione. C’è sempre un dubbio, un motivo per procrastinare. Ci dimentichiamo che viviamo in un mondo imperfetto e ricerchiamo un’illusoria perfezione, prima di metterci all’opera.
- Amo più l’aver ragione che la risoluzione.
Mettere in dubbio, smantellare, rivedere le proprie convinzioni è più difficile che scalare l’Everest.
Perché è difficile invertire la rotta?
Più noi investiamo in una decisione con una successione di comportamenti, più è difficile prendere una decisione divergente dalla prima e cambiare i comportamenti precedenti.
Chi riesce a mandare a quel paese la decisione presa se non più funzionale, è colui che prima arriverà alla soluzione del problema, perché sta imparando strada facendo e non ha paura di mollare le proprie certezze.
Qual è l’equilibrio tra “credi e tutto si avvera” e “molla le convinzioni o non cambierà mai niente”?
Ritengo che entrambe le affermazioni siano vere, eppure mi costringono ad entrare in un paradosso shakespeariano: “Credere o non credere. Questo è il problema?”.
Io da questa impasse ne sono uscita così: mi aggiusto rispetto al momento presente e uso ciò che funziona meglio.
Voi decidete come meglio “credete”. Io non ambisco ad “aver ragione”.
Basta con gli ostacoli, puntiamo alle strategie risolutive.
Prima strategia: riformulazione di senso.
- Come formulo il problema è parte del problema.
La formulazione prevede la capacità di osservare il problema dalla giusta prospettiva e di porre attenzione alle parole con cui lo definiamo.
Ad esempio: “mi mancano i soldi per comprare casa” è diverso dal dire, “ho una sfida da affrontare: voglio trovare le risorse per comprare casa”.
La prima affermazione mi sintonizza sulla mancanza e sull’impotenza. La seconda mi stimola a mettermi in gioco (con la parola sfida) e richiama il mio potere (voglio trovare).
Superficialmente stiamo dicendo la stessa cosa, eppure una ha una probabilità maggiore di avere una risoluzione solo per come è espressa.
- La profezia che si autoavvera.
L’attenzione selettiva è un processo mentale che ci costringe a percepire alcuni stimoli, tralasciandone altri.
È un meccanismo che ci garantisce un grande risparmio energetico. Provate a immaginare di dover processare coscientemente, le molteplici stimolazioni che i nostri cinque sensi incontrano ogni giorno.
Per risparmiare, però, dobbiamo rinunciare a gran parte di ciò che c’è.
Esempio: Vi chiedo di rileggere il testo precedente e di ricordare quante volte vi è scritta la parola “problema”.
Fatto?
Ora ditemi quante volte ho scritto la parola “comportamento”.
Non volevo imbrogliarvi. Sono sicura che avete letto anche la parola “comportamento”, ma la vostra attenzione era focalizzata a individuare la parola “problema”, e quindi ora vi trovate spiazzati.
Così funzioniamo sempre.
Se siamo fortemente convinti che “a me non succede mai niente di buono”, focalizzeremo la nostra attenzione su dettagli come: “è arrivata un’altra bolletta da pagare”, “è sabato sono a casa e piove”; eppure quel giorno è successo che: “un’amica mi ha chiesto di uscire” e “non ho bruciato l’arrosto”.
Vedremo ciò che conferma la nostra convinzione e passeranno senza nota i dettagli che invece la disconfermano.
Come fare allora?
Cambiando le nostre convinzioni, la nostra mente inizierà a focalizzare l’attenzione esattamente dove ci serve, e le profezie si avvereranno fedelmente come a noi fa più comodo.
- Piccoli passi grandi cambiamenti. Scomporre il problema.
Quando abbiamo un problema complesso da risolvere, è utile partire dall’obiettivo da raggiungere e immaginare lo stadio subito precedente, poi lo stadio precedente ancora, fino al punto di partenza.
Seconda strategia: essere creativi e agire.
- Soluzioni non convenzionali
Abituiamoci a ideare per un problema almeno 5 soluzioni possibili.
La prima conterrà in se ciò che solitamente siamo abituati a osservare, pensare e fare.
La seconda sarà simile alla prima, ma con alcuni dettagli creativi.
La terza potrà essere qualcosa che solitamente non ci permettiamo di osservare, pensare, e fare, perché smantella paure, meccanismi di difesa ecc.
La quarta sarà creativa e ci apparirà, al primo sguardo, infattibile.
La quinta sarà dura da trovare. Ci costringe ad esplorare i nostri limiti, per poi superarli.
Da qui in poi nasce il genio che c’è in noi. Trasformeremo l’ordinario in straordinario e i problemi saranno le più grandi benedizioni che la vita ci offre.
- Accettare non rassegnarsi.
L’accettazione prevede che prima ci sia un’azione. Come il giocatore di poker che prima fa il suo gioco e poi accetta di vincere o di perdere.
La rassegnazione è il vivere passivamente, senza agire, ciò che ci si presenta davanti. È lo spettatore al tavolo di gioco che guarda, senza metterci del suo.
- Saper chiedere.
Quando vogliamo un aiuto per la risoluzione del nostro problema abbiamo bisogno di formulare le richieste in modo chiaro, di predisporci all’ascolto e di ricordare che ciò che l’altro porta è una prospettiva, non la verità.
Alla fine del nostro confronto, l’azione spetta comunque a noi. È sempre nostra responsabilità superare il problema.
Terza strategia: visualizzare.
- “Se puoi sognarlo puoi farlo”[2].
Visualizzare significa costruire una realtà concreta e chiara nella nostra mente e associare a questa visione, le emozioni.
Possiamo visualizzare i passi che portano alla risoluzione del problema e come si struttura la nostra vita dopo che l’ostacolo è stato superato.
- Fare “come se…”
Cosa farei di diverso oggi, come mi comporterei in questa giornata se il problema che ho, non ci fosse più?
Un’altra possibilità è immaginare di essere qualcuno che ammiriamo (vivo o morto non ha importanza) e provare a osservare, pensare, fare come se fossimo lui/lei.
Ora che abbiamo il libretto d’istruzioni ci resta solo una cosa da fare.
Resettiamo la nostra mente e riprogrammiamola con questa nuova credenza: “per fortuna ho un problema!”
Con amore
Dhara
[1] Esclamazione di gioia per la soluzione di un difficile problema.
[2] Walt Disney