Adolescenza: genitori senza navigatore.

Adolescenza: genitori senza navigatore.

Ascoltando un’intervista del noto filosofo e psicanalista Umberto Galimberti si leggono queste nette e precise dichiarazioni: “Il problema genitoriale in questi anni si può riassumere in questo modo: i genitori devono sapere che la loro parola è significativa fino ai 12 anni. Quando incomincia la sessualità si interrompe la relazione verticale padre/madre-figlio e comincia quella orizzontale indi gli amici.

Allora fino ai 12 anni i genitori dovrebbero parlare tanto coi figli, incominciare da quando sono piccoli, a leggere delle storie insieme, ad andare a giocare insieme, a fare tante cose insieme.

Quando tu genitore hai parlato tanto con i tuoi figli devi sapere che a 12 anni loro non parleranno più con te, però tu sarai un punto di riferimento di un dialogo possibile che ricomincerà intorno ai vent’anni. È utile sapere che i lobi frontali del cervello arrivano a maturazione a vent’anni, mentre la pulsionalità incomincia a 14. Quindi a 13-14 anni i ragazzi hanno il massimo delle pulsioni sessuali e un minimo di controllo razionale.

Ciò che funziona è l’esempio: “Questo padre/madre è esemplare per me? O è un ragazzino/a come me?”
I genitori non devono diventare amici dei figli, perché sono bravi già da soli a cercarsi gli amici.
Alcuni adulti questa cosa non la capiscono perché hanno paura dei figli, hanno paura che dicendo dei no, che ponendo delle regole, la situazione degeneri”.

Ogni genitore di adolescente che si trova a leggere queste parole potrà sentirsi sollevato, io penso quantomeno compreso.

Quanti compiti faticosi si è chiamati ad affrontare, primo fra tutti è quello di “esserci” nonostante tutto. Questo si traduce in tanti piccoli grandi gesti: accogliere, ascoltare, tollerare, aiutare a comprendere, mettere limiti e confini, accompagnare, educare, rimproverare, lasciar fare e molto altro.

Ogni mattina, più probabilmente ogni sera, ci si chiede se si sta facendo bene, se si poteva dire una frase in più o magari anche una in meno.

Dolore, sofferenza, tristezza, paura, impazienza, gioia, felicità, sollievo si alternano ad una velocità ben poco prevedibile.
A volte può essere percepito come un terremoto: gli adulti vorrebbero che restasse tutto uguale, fino al giorno prima sapevano come avvicinarsi al proprio figlio; l’adolescente invece vorrebbe che tutto cambiasse.

Non esiste un modo indolore per crescere e non esiste crescita senza conflitto. Le differenze più grandi spesso risiedono in modi di pensare alla propria adolescenza e aspettandoci che sarà lo stesso per le nuove generazioni.

L’adolescenza è un periodo di grandi trasformazioni per i ragazzi, e questo lo sanno tutti, ma di solito non si tiene abbastanza conto del fatto che l’adolescenza dei figli esige grandi trasformazioni anche del Sé dei genitori. È questo il principale motivo per cui si tratta quasi sempre del periodo più difficile per tutti.
E’ un processo attraverso il quale il ragazzo e la ragazza vanno maturando la propria identità di giovani adulti, sessuati ed emancipati; per l’adolescente è necessario uscire fuori dal mondo infantile nel quale i genitori erano il principale, se non l’unico, modello cui riferirsi. Per arrivare a questo è necessario togliere i genitori dall’idealizzazione in cui erano stati messi; devono in questo processo ruvido e discontinuo cogliere e sottolineare ogni mancanza dei genitori, ogni loro contraddizione, ogni loro difetto, ogni errore.

Quanto più i genitori erano stati precedentemente idealizzati, tanto più grande sarà per gli adolescenti il dolore e lo scandalo di accorgersi che essi non sono affatto ideali; non si tratta mai di processi lineari, semplici e fluidi. Si procede sempre per crisi, per tentativi, per slanci in avanti e ritorni indietro, in modi disarmonici, contraddittori e bruschi. Le loro critiche, sistematiche, puntuali, impietose, spesso feroci, sono prima di tutto la protesta di ragazzi che si sentono delusi da quelli che erano stati i loro dèi. E lo sbigottimento dei genitori non è che la delusione di sentirsi attaccati da coloro che erano stati i loro adoratori, e che ora minacciano ogni loro sicurezza, a partire dal senso del loro valore.

Non è facile reggere questo grande mutamento relazionale; la “caduta degli dèi” è traumatica anche per gli dèi stessi.

Il conflitto è inevitabile durante la crescita in quanto permette all’adolescente di assumere un ruolo attivo e un modo con cui imparare a gestire l’aggressività. La paura e l’ansia sono i due sentimenti più diffusi tra i giovani: attaccano prima di essere attaccati e il tutto non fa altro che far sentire agli adulti le stesse emozioni. Il pericolo più grande è la confusione, confusione di ruoli e confusione tra un conflitto e un problema. Gli adolescenti chiedono di essere visti, di essere fermati, chiedono che qualcuno più grande stia dalla loro parte, chiedono modelli in cui rispecchiarsi, di sbagliare, di non essere giudicati, chiedono regole e limiti e il più delle volte lo chiedono senza parlare.

Di solito, quando i figli sono adolescenti, i genitori hanno un’età in cui si aspettano di cominciare a raccogliere quello che hanno seminato sul piano delle realizzazioni di sé stessi, nei vari ambiti: professionale, economico, culturale, amoroso, relazionale e sociale. Hanno bisogno di ricevere riconoscimenti della loro riuscita e del loro valore. In effetti, sono in un periodo di particolare fragilità sul piano del loro senso di sé, che, se non riceve gli adeguati apprezzamenti, può vacillare o addirittura crollare. Ed ecco, invece, che essi, quasi all’improvviso, diventano sistematico bersaglio di bordate critiche da parte dei figli, quasi sempre giuste, quasi sempre centrate, anche se quasi sempre enfatizzate ed eccessivamente severe, come se non ne avessero azzeccata una giusta nell’intera vita.

Allora, se è vero che un adolescente normale che sta vivendo il proprio normale processo di crescita è una persona in crisi, è ugualmente vero che è normale che anche i suoi genitori siano in crisi. Se i genitori sono preparati a queste evenienze, è più probabile che reggano le onde d’urto interne ed esterne, e che non vengano meno ai loro compiti di genitori, assolutamente indispensabili in questo periodo.

È necessario, infatti, che essi continuino a esserci, senza fuggire, senza annullare il loro ruolo con atteggiamenti seduttivi o di sottomissione acritica, senza mettersi a giocare coi propri figli a chi fa più l’adolescente, senza soccombere all’invidia. Continuare a esserci: è questa la cosa più importante che i genitori hanno da fare, nel rapporto coi figli, durante l’adolescenza. Non rinunciare alle proprie funzioni di genitori, per quanto ingrate possano essere. Non devono fuggire, né annullare il proprio ruolo con atteggiamenti conniventi, seduttivi o negligenti.

A volte, può essere difficile comprendere gli atteggiamenti degli adolescenti, soprattutto per gli adulti.

Perché si comportano così?
La spiegazione è anche nel cervello come si sottolineava nella citazione di Galimberti all’inizio dell’articolo.
Il cervello si sviluppa durante la crescita della persona.
Le prime regioni che raggiungono la maturità sono localizzate nella parte posteriore; queste aree sono dedicate al controllo del movimento e alla percezione sensoriale.
Successivamente, si sviluppano le aree dedicate al linguaggio e all’organizzazione spaziale.
Le ultime regioni a raggiungere la maturità, sono localizzate nella parte anteriore del cervello.
Queste aree sono adibite alle altre funzioni superiori (memoria, linguaggio, percezione, azione, capacità di ragionamento, di pianificazione e di problem solving) e finiscono il loro sviluppo tra i 25 e i 30 anni!
Inoltre, in particolare verso i 10-13 anni, il cervello dei ragazzi si trova in uno stato di maturazione in cui è già sviluppata l’area cerebrale adibita all’elaborazione delle emozioni, mentre quella adibita al ragionamento è appunto ancora in via di sviluppo!
Fatte queste premesse, risulta evidente perché i ragazzi a volte fatichino a ragionare in modo critico, a controllare reazioni inappropriate, a immaginare il loro futuro, a pianificare azioni, a prendere decisioni ponderate e a comprendere il punto di vista degli altri (specialmente degli adulti!).

Durante l’adolescenza, dunque, c’è una diversa maturazione tra le differenti regioni cerebrali e manca quindi una comunicazione efficace tra esse.
Questa differenza nei tempi di sviluppo delle diverse aree, spiega anche la ricerca del rischio, della novità e del piacere nei ragazzi, che hanno voglia di provare emozioni forti, ma che non hanno consapevolezza delle conseguenze delle loro azioni.

Conoscere ed essere informati di questo processo di maturazione è fondamentale per capire i ragazzi, per evitare di etichettarli e per costruire una relazione di valore con loro, orientata a favorire la loro crescita.

Usciamo dal luogo comune che l’adolescenza sia un periodo difficile e che “speriamo passi presto”.
L’adolescenza è un periodo della vita, una fase che tutti attraversiamo in modi differenti, ma che fa comunque parte del processo di crescita.Noi adulti abbiamo la possibilità (e anche la responsabilità) di aiutare i ragazzi a viverla serenamente.
Proviamo a considerare insieme un evento comune nella casa di un adolescente.

Partiamo da questa affermazione di Tim Kreider: “Sfinire qualcuno a furia di discussioni non equivale a convincerlo”; a tutti noi stanno venendo in mente mille situazioni che potrebbero essere etichettate in questo modo.
Spesso, quando dialoghiamo con una persona con l’obiettivo di convincerla della nostra idea, adottiamo un atteggiamento aggressivo e conflittuale.

Ma quante volte riusciamo davvero a ottenere un cambiamento? Forse, poche.
A volte, più argomentiamo con forza e più l’altro si chiude per difendersi e punta i piedi.
Come se il nostro desiderio fosse solo quello di lottare per stabilire quale sia la verità.
Ma un dialogo funzionale non è una guerra tra chi è più forte.
Piuttosto un dibattito è un ballo a due o di gruppo, in cui l’altro ha il suo modo di danzare e ha i suoi passi, e per avere lo stesso tempo e la stessa fluidità non serve aggressività nel condurre, ma ascolto e adattamento per sincronizzarsi.

E per sincronizzarsi, paradossalmente, non serve collezionare ragioni, ma piuttosto ottenere terreno comune tra le parti e, a volte, saper fare un passo indietro.

Quando dialoghi con qualcuno, chiediti con quale intenzione vuoi affrontarlo.
Se ti interessa avere ragione, stai ballando da solo.
Se vuoi danzare insieme, invece, sii curioso e aperto: scoprirai nuove vedute per migliorare entrambe le parti.

Ora qualche suggerimento pratico per attraversare il periodo in maniera “sufficientemente adeguata”:

  • prima di tutto riconoscere l’alterità del figlio o della figlia rispetto a quello o quella che avremmo voluto secondo le nostre aspettative.
  • Seconda proposta è provare a leggere il mondo dell’adolescente seguendo la sua trama, piuttosto che volerla scrivere.
  • E per ultimo provare ad offrire la propria presenza e una comunicazione che aiuta a ragionare, che propone il dialogo senza imporre le soluzioni, per evitare quella chiusura a riccio descritta prima.

Alberto Pellai, grande esperto di infanzia e adolescenza, riassume bene in questa lezione: “La realtà è quella che è, non quella che noi ci raccontiamo. Se vogliamo davvero aiutare i nostri figli a stare al mondo, aderendo al principio di realtà, non c’è bisogno di edulcorare i fatti, di fingere che siano migliori di quello che sono. C’è bisogno di rimanere saldi e di essere autorevoli, di dire le cose che serve sapere, oltre a quelle utili ma sempre veritiere, che possono aiutarli a trovare stabilità e calma in una situazione complessa. A volte fare del bene a un figlio non vuol dire fare ciò che lo fa stare bene, bensì l’esatto contrario: vuol dire sostenerlo e aiutarlo a tollerare una frustrazione che non lo fa stare bene. Ma che gli fa bene. A lui e alle persone che gli sono vicine. Davanti a una situazione che può provocare a un figlio dolore o paura, non teniamolo all’oscuro, ma diciamogli la verità. Spieghiamo gli aspetti negativi, ma non dimentichiamo quelli positivi! Diamogli qualche suggerimento sulle cose che potrebbe fare in prima persona per migliorare la situazione. Permettiamogli di imparare a soffrire, a misurarsi con le cose brutte della vita, ma facciamogli sentire che gli siamo vicini.”

Dunque per provare a riavviare bene il navigatore di genitori Consapevoli impostiamo queste due variabili:

  1. Aver fatto pace con la propria adolescenza con le sciocchezze fatte e soprattutto con quelle non fatte, le occasioni mancate, perse, quelle non vissute o vissute male. Riconoscere che il cambiamento non è solo nel figlio, ma anche nella propria persona, e nella coppia genitoriale (poco importa se sotto lo stesso tetto o separati)
  2. Volergli bene, voler bene al loro caos, al loro continuo oscillare tra la tragedia e la leggerezza. Avere la capacità di intravedere la loro singolare luce nonostante l’autosabotaggio giornaliero. Guardarli con sguardo tenero ed affettuoso anche quando gli stai piantando un paletto che sicuramente tenteranno di sorpassare. Come è giusto che sia, ma tu che sei l’adulto devi farlo.

Gli adolescenti sono una comunità umana che ha vita propria e che ci ricorda ogni giorno quanto questa vita possa essere difficile e bella da affrontare.

Ultimo, ma non meno importante: ricordiamoci che gli aggiornamenti al Navigatore sono importanti, ricalcolare il percorso è la dote più sollecitata e ambita al giorno d’oggi.

Ci salutiamo con un sorriso.
A presto
Susanna Porta

Bibliografia
– Borgia Chiara, formatrice e pedagogista scrive sulla Rivista digitale Uppa, casa editrice specializzata nei temi della genitorialità e dell’infanzia
– Galimberti Umberto in un’intervista rilasciata a Luca Mazzucchelli “Dialoghi sull’anima dell’educazione”.
– Pellai Alberto. “Mentre la tempesta colpiva forte”. De Agostini.
– Centro Paradoxa  http://www.centroparadoxa.it/blog/