07 Mag Come possiamo imparare a vivere nella pazienza?
Mi accorgo di vivere in un mondo veloce, dove tutto si manifesta nell’immediatezza.
La soddisfazione dei miei bisogni, desideri, necessità hanno tempo di realizzazione quasi immediato. Ho fame, apro il frigo, voglio un libro, vado su Amazon, mi sento sola… chatto un po’.
È tutto talmente veloce, disponibile che non so più nemmeno cosa realmente desidero, non discrimino più i miei bisogni profondi da quelli superficiali e condizionati.
In tutta questa fretta anche il tempo del cambiamento e dello star bene non ha più tempo. Così come la terra non è più lavorata dalle mani e dal sudare, così noi umani non abbiamo più voglia di seminare e poi pazientare.
Mi ritrovo a cercare metodi “miracolosi” per star bene, che mi preservino dalla fatica, dalla disciplina, dall’essere determinata.
Ora mi chiedo quanto siano proprio la pazienza, la disciplina, la determinazione, la fatica gli antidoti, gli antidepressivi, i farmaci per la mia guarigione.
Nietzsche scrisse “Colui che possiede un motivo per vivere può sopportare quasi ogni modo di vivere”.
Ho oggi un motivo per vivere? Un motivo che concentri tutte le mie energie, che faccia risplendere i miei giorni al mattino e che mi ancori alla vita nei momenti bui?
Ho la “ragione d’essere”, la sensazione che vale la pena aspettare, continuare a credere, a faticare?
Se non vedo subito il risultato mi arrendo, getto la spugna, sprofondo nell’insoddisfazione. Ho perso la sensazione profonda di un viaggio fatto di passi e non di mete.
Ammetto che se dovessi esprimere un desiderio ora chiederei LA PAZIENZA.
Voglio essere capace di perseverare nella mia opera, di credere che arriverà il momento in cui, ciò che semino verrà raccolto. Voglio vivere serena questo tempo di attesa dimenticandomi, a volte, del frutto da raccogliere, non scordandomi mai di innaffiare il mio seme giornalmente con passione. Voglio imparare che in fondo il mio scopo non è in quel futuro splendente dove raccoglierò la mela, ma in questo istante magico in cui con consapevolezza annaffio la mia pianta senza aspettative.
L’etimologia della parola pazienza mi riconduce al latino pati = sopportare, soffrire, tollerare.
Il significato di questa parola mi aiuta a capire perché la pazienza non è una virtù ricercata dai più. Il paradosso è che cerco di “scansare” la sofferenza, il patimento e mi viene richiesto di percorrere proprio questa via.
Mi chiedo allora: cos’è la sofferenza?
La conosco per opposizione al piacere, la conosco in quei giorni di noia profonda che rasentano l’insoddisfazione, la conosco nel corpo come dolore fisico, la conosco nel senso di colpa per la reazione che un altro ha nei miei confronti, la conosco quando il mattino non ho nessuna voglia di alzarmi perché niente è degno di entusiasmo. Chiamo tutto questo sofferenza.
Decido di definirla un’alleata.
La sofferenza mi ricorda quanto ancora sono lontana dalla mia verità, quanto ancora sto dentro la mia prigione dorata, quanto sia in mio potere cambiare.
Ricordo con piacere queste parole non mie:
“Non credo che la sofferenza da sola insegni. Se bastasse la sofferenza ad insegnare, tutto il mondo sarebbe saggio, visto che tutti soffrono. Alla sofferenza bisogna aggiungere l’elaborazione, la comprensione, l’amore, l’apertura e il desiderio di rimanere vulnerabili.” (Anne Morrow Lindbergh)