Coppia nell’amore. Parte 1

Coppia nell’amore. Parte 1

Prima parte

Per quanto difficile e complesso sia il tempo che stiamo vivendo, mi rendo conto ora mentre vi scrivo, che è un tempo meravigliosamente ricco. Ognuno di noi può trovare spazio e modo per riconciliarsi con l’Amore. Quando la paura, l’incertezza, la mancanza di riferimenti, la divisione, sono alla porta o addirittura dentro casa, se lo cercate bene, nascosto da qualche parte che vi attende pazienti, c’è Amore. Amare significa riuscire a integrare gli opposti, a farli danzare nonostante la nostra mente non trovi un punto d’incontro, ciò che li unisce è un’energia che non si può etichettare e catalogare.

L’integrazione tra femminile e maschile, e nelle sue manifestazioni, donna e uomo, è quella a cui noi tutti aspiriamo.

Tutti noi cerchiamo l’amore. Tutti, illusi e disillusi, siamo profondamente protesi verso questa ricerca.

Cos’è la relazione? Perché incontrarsi e stare insieme?

La relazione è stare bene, essere felici, sentirsi completi, capiti, amati. Stare assieme è poter avere tutto questo.

Allora perché la maggior parte delle volte non funziona?

Perché siamo uomini e donne feriti.

Le nostre ferite guidano le nostre scelte, i nostri pensieri, i nostri comportamenti e non ce ne rendiamo conto. Viviamo in un mondo imperfetto e per quanto il nostro ambiente sia stato amorevole e confortevole, non possiamo essere privi di ferite. Dal concepimento fino ai nostri primi 7 anni di vita siamo condizionati e “feriti”. Non vi sono colpevoli in questa storia, solo persone ferite a loro volta che hanno strutturato credenze e meccanismi di difesa.

Facciamo un esempio.

Una donna vive la sua infanzia durante la Seconda Guerra Mondiale, perde il padre precocemente e vive una profonda mancanza d’amore. Cresce e diviene una donna con un forte timore di essere abbandonata, ma non se ne rende conto e ciò che manifesta è un susseguirsi “di si” a tutto e tutti, non riconoscendo più i suoi veri bisogni. La sua credenza: “per non perdere l’amore devo essere tutto ciò che l’altro vuole”. In questa collusione di ferite, trova un uomo che per la sua storia personale, che vi lascio immaginare, ha una credenza che dice: “la donna è a servizio dell’uomo”.

Da fuori vediamo questa coppia e noi, che siamo facili al giudizio, vediamo lei sottomessa e passiva e lui padre e padrone. In questa relazione non vi è presa di coscienza del dolore che sta sotto all’agire, che struttura le difese, è il vivere così, credendo che non ci sia altra scelta, che non ci sia nessuna via di uscita (qual ora vi sia consapevolezza di volerne una, a volte non vi è nemmeno quella).

Siamo costantemente alla “ricerca del tempo perduto[1]”, meglio alla ricerca dell’amore non avuto, delle cure non ricevute, di quell’inceppo nel meccanismo nella nostra crescita. Nessuno è esente a questo, per quanto la famiglia sia stata perfetta, per quanto amore sia stato elargito… viviamo a contatto con esseri umani e gli esseri umani, si sa, sbagliano, anche non riconoscendolo, anche non sapendolo, sbagliano e noi vogliamo essere risarciti proprio da colui o da colei, che abbiamo scelto per condividere il proseguo della vita…

La relazione tra queste due persone, basata sulle rispettive ferite, ha tre epiloghi possibili.

Il primo è la collusione. La relazione rimane immutabile nelle rispettive ferite, nessuno dei due riesce a trovare il modo per sganciarsi dal proprio passato. In questa collusione immutabile, non vi è felicità ma può esserci durata.

Il secondo è la mutazione di uno dei due. L’incontro risveglia la ferita ma il dolore provato richiede un cambiamento. Attraverso un lavoro profondo su sé stessi e l’attraversamento del dolore ci si trasforma e si cambia. Quando la ferita è guarita si diviene padroni di vivere il presente.

Cosa accade alla coppia?

Se l’altra parte (quella ancora persa nel proprio passato) ha ancora bisogno della collusione è quasi inevitabile la separazione. Dico quasi perché tutto può accadere, anche di scegliere di stare con l’altro, nonostante l’altro. L’amore può tutto, ricordiamocelo. Il terzo è la trasformazione di entrambi. È il potenziale che tutte le coppie hanno.

Attraverso la capacità di mettersi in gioco e il coraggio di attraversare il proprio dolore, senza proiettare la colpa della propria sofferenza sull’altro, senza chiedere all’altro di essere diverso da ciò che è, viviamo nella “magia”. Sperimentiamo così, nella vita di tutti i giorni, ciò che Paracelso scrisse: “La causa principale della guarigione è l’amore”. Nasciamo e abbiamo bisogno, letteralmente “bisogno da morire” dell’amore dell’altro. Poi rimaniamo intrappolati nell’illusione che amore significa pronta e immediata soddisfazione dei nostri bisogni (bisogno di accudimento, di autostima, di sicurezza affettiva, di riconoscimento, di stabilità, di protezione o di beni materiali).

Si possono e si devono avere questi bisogni ma noi li giochiamo inconsapevolmente nella coppia confondendo la loro soddisfazione con l’amore, la loro frustrazione con il disamore e creando la dipendenza da chi li soddisfa o il nostro astio quando non vengono più soddisfatti.

“Ti amo se tu…” è ciò che abbiamo imparato e continuiamo a riproporlo.

Ricerco protezione perché non sono sicura di me.

Ricerco valore perché non sento la mia stima.

Ricerco l’amore che non ho sentito e sono incapace di accudirmi.

Si può andare avanti colludenti uno nel bisogno dell’altro anche per tutta la vita, non per questo si sta sperimentando l’amore. Quando l’altro non ci soddisfa più lo incolpiamo di non amore e tutto si rompe. Viviamo rassegnati nella sofferenza o ce ne andiamo, convinti che tutto sia dipeso dall’altro e che se lui o lei fosse stato diverso/a, allora tutto sarebbe stato magnifico. Con questa idea in testa non crediamo più nell’amore oppure finiamo a ripetere una relazione uguale a quella precedente (o molto simile).

Ricordate i tre epiloghi della relazione visti prima? Eccoci nuovamente. Ora possiamo però decidere che strada percorrere. Cosa c’è dietro tutto questo pseudo amore? Le nostre ferite, il nostro essere ancora bambini perché è quel retaggio, non ancora perduto, che ci porta a fare delle scelte piuttosto che altre, a reiterare comportamenti che diciamo sofferenti, ma di cui non possiamo fare a meno.

Il “Ti amo se, ti amo ma…”  è segnale che siamo in una relazione mossa dai bisogni e dai desideri; i primi per essere soddisfatti, i secondi ponendo l’accento su ciò che manca.

Vogliamo cambiare l’altro anche quando crediamo non sia così. Non ce ne rendiamo nemmeno conto di quante volte in una frase, raccontando la nostra vita, diciamo “lui o lei”. Ascoltiamoci attentamente… “Se lui non fosse così distante io mi sentirei”; “se lei mi lasciasse stare io potrei rilassarmi un po’, invece…”. Possiamo scrivere una biblioteca con queste frasi dette e ridette, e ritorniamo sempre lì, a voler cambiare l’altro per metterlo nella custodia che abbiamo pensato per lui/lei, credendo che quando accadrà, allora raggiungeremo la felicità. Come ogni evento nella vita che ha in essere il potenziale del nostro mutamento, così è la relazione. Non fraintendete, non è l’elogio a lasciar perdere, ad arrendersi a tutto ciò che ci crea dolore, a subire sorridendo…

Non è questo. È essere nuovi. Questo per qualcuno è dire quel no che non si è mai riusciti a dire per paura di perderlo, oppure è abbandonare la lite mentale per trovare un contatto empatico, per qualcuno è andarsene perché quella paura di non farcela da soli va messa alla prova, è andare senza dire è colpa tua, ma responsabilità mia.

È complesso perché non esiste l’elenco delle azioni giuste o sbagliate, delle parole da dire o non dire, delle emozioni da provare e quelle da evitare. Esiste chiedersi chi sono cercando la risposta ogni giorno, in ogni incontro, scontro, possibilità. “Quando accettiamo di incontrare ciò che ci fa paura, ciò che ci dà dolore e diciamo alla paura “vieni e coglimi” e diciamo al dolore “vieni e attraversami”, è li che noi compiamo una trasmutazione interiore.”[2]

Quando il presente diventa il nostro focus allora scopriamo che stiamo guarendo, che l’altro è qualcuno diverso da noi, misterioso e meraviglioso, un altro che si vuole conoscere veramente non per cambiarlo ma per meravigliarci di quel che è… allora le nostre percezioni cambiano e la struttura fisiologica, che ci ha costretti a ripetere, si trasforma in possibilità. L’amore risveglia i talenti nascosti, ci rende arresi al rischio, ci regala occhi nuovi per guardare il mondo con stupore, non perché l’altro è perfetto ma perché è sconosciuto.

Succede che prendendoci cura della nostra felicità, attraverso il rispetto di noi stessi, facciamo il bene dell’altro; così come meravigliosa è la vicinanza ad un fiore che emana il suo profumo, così è meravigliosa la vita quando noi ci prendiamo la responsabilità di emanare il nostro profumo senza condizioni.

Quando riusciamo a trasformare il nostro vivere in coppia, possiamo usare una peculiarità che la nostra mente conosce bene: la generalizzazione. Possiamo portare questo amore fuori dalla coppia, nelle relazioni con le persone vicine e lontane e così, anche ciò che stiamo vivendo socialmente ora, riuscirà a darci il meglio. Esso diverrà la possibilità di scoprire, quello che in un tempo diverso, sarebbe stato impossibile perfino da intravvedere.

Di amore, relazioni e coppia ne parlerò anche nel prossimo articolo: “Coppia nell’amore, coppia nel bisogno Seconda parte”, quindi a presto.

Con amore, Dhara Roberta


[1] E’ l’opera più importante di Marcel Proust scritta tra il 1909 e il 1922.

[2] Erica Poli